A partire dalla risposta di artigiani e operai all'avvento delle prime macchine che inauguravano all'inizio del XIX secolo e in Europa la rivoluzione industriale, processo che distruggeva insieme alle loro vite anche le qualità dei prodotti del loro lavoro, si dipana qui una storia che finirà per dispiegarsi nelle posizioni degli artisti critici prima, e poi in quelle dei settori più avanzati della critica radicale: in Francia, l'Internazionale Situazionista e il gruppo raccolto attorno alla rivista prima, e alle edizioni poi, dell'Enciclopedia delle Nocività.
Vengono qui proposti, nella traduzione italiana, ampi brani tratti dalle pubblicazioni dei "nuovi enciclopedisti" ancora troppo poco conosciute in Italia, e che possono essere utili a coloro che, oggi e qui, vogliono procedere nella critica pratica dell'esistente. "Perché rispetto alla pretesa di rendere irreversibile lo stato di fatto, e il fatto dello Stato, rendendone indistruttibili le nocività, i rivoluzionari non sono più solo i rappresentanti di una scelta differente, ma del semplice realismo: difendono insieme un rifiuto e un progetto, e possono mobilitare per la loro causa, a fianco del desiderio per l'ignoto, l'istinto di conservazione. Mirabile coincidenza: per salvare quel poco di esistenza umana che la cancrena della produzione mercantile non ha ancora disastrosamente inglobato, e alla cui conservazione tutti sono interessati, serve una rivoluzione sociale; perché la rivoluzione sociale resti possibile, occorre difendere ciò a partire dal quale una vita libera dovrà essere costruita, e da dove solo si può ancora, sottoponendo tutto il resto a giudizio, concepirla. A cominciare dalla memoria di tutto ciò che fu libera attività nella storia, tentativi alla luce dei quali la sventura economica appare chiaramente per quello che è: un interminabile sviamento nella produzione dell'uomo a opera di se stesso, che minaccia di perderlo definitivamente." (Dal Discorso preliminare) |
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Prefazione
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prefazione |
Il principale obiettivo di questo lavoro è rendere disponibili nella traduzione italiana alcuni brani tratti dalle pubblicazioni del gruppo riunito attorno alla Encyclopédie des Nuisances, fornendo anche alcune informazioni che permettano di inserirli in una storia troppo poco conosciuta in Italia. è vero che, in questo presente, andrebbero riproposti all'attenzione di tutti, e in particolare delle nuove generazioni, anche i contributi della critica radicale italiana. Testi e scritti d'occasione di quell'area sono però ancora accessibili, disseminati tra siti internet e vecchie edizioni; anche se manca un'attualizzazione critica di quelle posizioni e teorie, per molti aspetti ancora assolutamente pertinenti. Come sempre, l'inizio e la fine di un percorso sono fissati arbitrariamente da chi lo racconta. L'avvento della modernizzazione in Europa, preso qui come inizio di questa storia, è stato certo solo un anello di una complessa catena di eventi e determinazioni; ma lì, nella risposta di artigiani e operai a quelle innovazioni, già appaiono i semi dei conflitti e antagonismi che, enormemente amplificati, abitano il presente; e per questo è stato preso come punto di partenza. Il passaggio poi dedicato alla parabola situazionista è in questo racconto evidentemente troppo sbrigativo, in rapporto all'importanza storica che quella esperienza riveste; ma lo è a ragion veduta, perché i testi e le vicende dei situazionisti sono ben conosciuti in Italia. La loro rivista è stata integralmente tradotta e pubblicata; i testi dei singoli situazionisti, in particolare quelli di Guy Debord e Raoul Vaneigem, sono facilmente reperibili e addirittura alcuni libri in commercio raccontano, interpretano e giudicano quella storia in modi più o meno sensati e soddisfacenti. In Italia invece le vicende del gruppo riunitosi nella Encyclopédie des Nuisances sono meno note, e alcuni dei testi qui presentati non sono mai stati tradotti. Inoltre, la loro traiettoria non è affatto conclusa e le questioni che hanno sollevato e sollevano risultano assolutamente attuali e aperte, e ancora poco dibattute, mi pare, nel contesto italiano. La loro attività costituisce dunque, e mi auguro che continui a farlo, anche uno stimolo a mettersi all'opera, qui e ora, per continuarne, dopo averle filtrate, attualizzate e adattate al diverso contesto, le azioni e operazioni. La loro critica delle nocività e del sistema che le produce (e che poi giustifica la sua persistenza, le sue esazioni e la sua assurdità con l'esigenza di gestirle) mi pare assolutamente pertinente e un ingrediente indispensabile della critica radicale di questo mondo. Sono anche innegabili i limiti storici di quell'impresa; e tuttavia è dai limiti incontrati da chi, prima d'ora, ha tentato operazioni di questo tipo che si possono trarre insegnamenti utili a chi si proponga di procedere. Anche le lezioni più amare sono benvenute, se non si saldano con la resa. Per ciò che mi riguarda, sento indiscutibile la contiguità tra il partito che, più di quarant'anni fa, ho preso in occasione dell'ultima emergenza rivoluzionaria, partecipando al gruppo Ludd-Consigli proletari, con l'affondo degli artisti (prima critici e poi rivoluzionari) e, poi, con il lavoro, in una prospettiva di più lunga durata, dei "nuovi enciclopedisti": il loro progetto di tenere viva, in una fase storica controrivoluzionaria, una critica sistematica, teorica e pratica dei fondamenti stessi (progresso, alienazione, industria, scienza, tecnica) di questo mondo. I miei incontri con Jaime Semprun e con quelli del gruppo della Encyclopédie che ho avuto l'occasione di conoscere, mi hanno sempre confermato questa affinità fondata sul riconoscersi per storia e intenzione, ma anche sulle qualità del presente che, insieme, capitava di determinare. Negli incontri di questo tipo, è un intero ambito di possibilità che si apre, prevede e vede accordi e disaccordi, armonie e conflitti; dinamiche sempre nutrienti all'interno d'indiscutibili alleanze, che solo l'eventualità di scelte gravi e tra loro incompatibili può disfare. Nell'ultimo incontro in Toscana con Jaime Semprun, qualche mese prima della sua morte, fu tra l'altro questione di metter mano ad alcuni temi di fondo per verificare la tenuta delle nostre posizioni di un tempo, eventualmente aggiornarle o trovarne di nuove; per riuscire poi a dirle, lavorarle, comunicarle e condividerle. Questo lavoro ci sembrava indispensabile e urgente per uscire dal sempre maggiore silenzio e isolamento. Jaime aveva portato alcune questioni, discusse già con altri e in diversi contesti in seguito alla pubblicazione, con René Riesel, di Catastrophisme, administration du désastre et soumission durable. Una era quella della "demarcazione": che rapporti avere con quella "zona grigia" dove un certo desiderio di libertà convive con l'assuefazione e l'abitudine rassegnata alla sottomissione? E poi: quale senso può essere dato, oggi, alla parola "rivoluzione"? E cosa sta ora affondando: un certo tipo di società e di rapporti umani, un determinato ordine delle cose, o, più in generale, l'idea che la Specie umana sia portatrice, e quindi esecutrice, di qualcosa d'altro che non sia l'organizzazione della sua sopravvivenza in una massa passiva, soggetta e iper-addomesticata? E poi: che posizione prendere sul Maggio '68, sul goscismo e sui gruppi goscisti? Ha ancora senso contrapporre un Maggio puro e duro al recupero che ne è stato fatto, oppure il verme della restaurazione era già nel frutto, e in questo caso, in quale parte del frutto? Si era avviato subito un inizio di discussione; dove la prima evidenza era che le lingue erano come legate, avendo perso l'abitudine di parlare di simili argomenti. Anche i "vecchi combattenti" sembravano a disagio, e mostravano una sorta di timidezza nel pronunciare le parole forti che, un tempo, gridavano a squarciagola nelle strade. Eppure quelle parole, che, a pronunciarle, sembravano ibernate, restavano nei loro pensieri: solo, avevano perso l'abitudine di dirle, di condividerle. Perché erano i fatti ad averle rese obsolete, o lo stavano diventando perché non c'era più il coraggio di pronunciarle, e quindi non erano più nutrite e animate? Ci era sembrato dunque necessario ripetere le occasioni di confronto per continuarla, quella discussione; intanto, a distanza e per scritto. Per poterci confrontare con le posizioni di cui Jaime era stato in quell'occasione il rappresentante occorreva, però, un lavoro preliminare a proposito della sua, della loro storia, qui e ora molto poco conosciuta, soprattutto tra i giovani. Bisognava raccontarne i passaggi fondamentali, e le ragioni che l'avevano animata. Da lì ha preso le mosse questo lavoro. Non c'è stato purtroppo il tempo per continuare con Jaime Semprun questo lavoro. Spero che gruppi che "non sono né dei collettivi, né delle semplici bande di amici", possano servirsi delle informazioni qui raccolte per alimentare incontri, confronti, alleanze e conflitti su ciò che oggi è urgente fare e su come pensare il presente. Che tutto ciò contribuisca a rompere un silenzio e una paralisi durati fin troppo a lungo. |
l'autore |
Piero Coppo neuropsichiatra e psicoterapeuta, insegna Etnopsichiatria all'Università Ca' Foscari di Venezia. Ha lavorato a lungo in Mali e in Guatemala, come esperto del Ministero degli Esteri italiano, in programmi di cooperazione tecnica sui sistemi locali di cura. Tra i suoi ultimi saggi:
Negoziare con il male. Stregoneria e controstregoneria dogon (Bollati Boringhieri, Torino, 2007) Guaritori di follia. Storie dell¹altopiano dogon (Bollati Boringhieri, Torino, 2007) Le ragioni del dolore. Etnopsichiatria della depressione (Bollati Boringhieri, Torino, 2005) Tra psiche e culture. Elementi di etnopsichiatria (Bollati Boringhieri, Torino, 2003) Etnopsichiatria (il Saggiatore, Milano 1996) Guaritori di follia. Storie dell'altopiano Dogon (Bollati Boringhieri, Torino, 1994) |